Lidia Poët, un nome che risuona come un simbolo di lotta e determinazione, è stata la prima donna in Italia a poter esercitare l’arte forense.
La sua storia ha riacquistato nuova vita grazie alla serie Netflix “La legge di Lidia Poet“, interpretata da Matilda De Angelis, che ha appena lanciato la sua seconda stagione sulla piattaforma. È un racconto che non è solo fatto di sogni e ambizioni, ma anche di battaglie in una società che spesso negava alle donne la possibilità di emergere in ambiti considerati, all’epoca, esclusivamente maschili. Scopriamo nel dettaglio la vita di questa straordinaria figura.
Gli albori di Lidia Poët una pioniera della giustizia
Nata nel 1855 in provincia di Torino, Lidia Poët venne da una famiglia benestante che le permise di ricevere un’istruzione adeguata per sognare in grande. Il suo percorso iniziò nella tranquillità di Traverse di Perrero, dove trascorse la giovinezza. Già durante l’adolescenza, si trasferì con il fratello maggiore Giovanni Enrico, che era avvocato, a Pinerolo, una località con una forte tradizione giuridica. Qui, tra studi e discussioni, Lidia scoprì la propria passione per la giustizia.
Dopo aver frequentato un collegio in Svizzera, Lidia ottenne vari titoli, passando dal diploma di Maestra Superiore Normale a quello di Maestra d’inglese, tedesco e francese. Un bagaglio culturale che la preparò ad affrontare la scelta più audace della sua vita: iscriversi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino. Questo passaggio avvenne dopo aver abbandonato la facoltà di Medicina, scelta curiosa se pensiamo che, a quel tempo, la medicina era uno dei pochi campi nei quali le donne avevano iniziato a entrare.
Gli studi e l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati
La carriera giuridica di Lidia decollò nel 1881 con la laurea in giurisprudenza, il suo impegno si concretizzò in una tesi che trattava, tra le altre cose, l’importante tema della condizione femminile e il diritto di voto per le donne. Dopo aver trascorso del tempo praticando legge nello studio dell’avvocato e senatore Cesare Bertea, la giovane Lidia si preparò ad affrontare l’esame per diventare avvocato. Con un punteggio di 45 su 50, il suo sogno sembrava a portata di mano.
Tuttavia, la sua richiesta di iscrizione all’Ordine degli Avvocati di Torino non fu accolta senza difficoltà. Alcuni avvocati, tra cui Desiderato Chiaves, ex ministro dell’interno, e Federico Spantigati, protestarono contro la sua ammissione. Questa sorta di rivolta non fece cambiare idea al presidente dell’Ordine, che a sorpresa votò a favore di Lidia. Il 9 agosto 1883 segnò così una data storica: Lidia Poët divenne la prima donna a essere ammessa all’avvocatura in Italia.
La controversia della cancellazione dall’Albo
L’entrata di Lidia nell’Albo degli avvocati, però, non rappresentò la fine delle sfide. Poco dopo, il procuratore del Regno contestò la sua legittimità, portando la questione alla Corte d’Appello di Torino. Nel 1883, la Corte accolse la richiesta e ordinò la rimozione di Lidia Poët dall’Albo. Nonostante la forte determinazione, il suo ricorso non ebbe successo. La sentenza del 18 aprile 1884 mise in evidenza l’idea che “la donna non può esercitare l’avvocatura“, un’affermazione che scatenò un intenso dibattito pubblico.
Quella controversia suscitò l’interesse di ben 25 quotidiani, che si schierarono a favore dell’ammissione delle donne nelle professioni legali, mentre solo tre si opposero. Anche se Lidia non poté esercitare formalmente, non si arrese. Sostenne e combatté per i diritti di minori, donne e emarginati, rimanendo un’attivista per il suffragio femminile, un tema che che le stava molto a cuore.
La legge che cambiò tutto per le donne
Il 17 luglio 1919, la legge 1179, nota come legge Sacchi, segnò una nuova era per i diritti civili delle donne, consentendo loro di accedere ai pubblici uffici senza più dover chiedere l’autorizzazione dei mariti. Questa legge, fondamentale per molte, escludeva però la magistratura, la politica e i ruoli militari.
Questa era l’enunciazione che ha aperto la strada: “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gl’impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche“.
Finalmente nel 1920, a 39 anni dalla sua laurea, Lidia Poët ottenne l’ambita iscrizione all’Ordine degli Avvocati, diventando ufficialmente la prima avvocata d’Italia. Un traguardo atteso, arrivato a 65 anni, che rappresentava una vittoria non solo per lei, ma per tutte le donne che sognavano di intraprendere carriere simili.
Una vita di impegno e determinazione
Lidia Poët visse fino all’età di 94 anni, morta nubile, una vita dedicata alla giustizia e ai diritti delle donne. Anche se il suo percorso fu costellato di ostacoli e battaglie legali, il suo spirito indomito rappresenta un importante capitolo della storia italiana. La sua vicenda non è solo un richiamo al passato, ma anche un invito a riflettere sul cammino che le donne hanno percorso e sulla strada che resta ancora da tracciare in molti paesi. La tenacia e il coraggio di Lidia sono un faro di speranza per le generazioni future che continuano a lottare per la giustizia in ogni sua forma.