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L’alluvione a Valencia: la verità sul presunto “cloud seeding” in Marocco

L’attuale dibattito sull’alluvione di Valencia ha riacceso l’interesse per teorie spesso considerate complottistiche.

Stiamo parlando del cloud seeding, una tecniche utilizzata per indurre artificialmente la pioggia, e delle sue presunte implicazioni nelle recenti calamità meteorologiche.

Mentre alcuni articoli e post sui social media collegano questi fenomeni a tale metodo, è fondamentale esaminare i fatti senza farsi sopraffare da panico o da convinzioni infondate. Di seguito esploreremo cos’è realmente il cloud seeding, perché non possa essere responsabile dell’alluvione di Valencia e come queste teorie complottiste siano emerse.

Cos’è il cloud seeding

Il cloud seeding, che in italiano si traduce con “inseminazione delle nuvole”, è una pratica meteorologica il cui scopo primario è quello di stimolare le precipitazioni. In sostanza si tratta di rilasciare delle sostanze chimiche come ioduro d’argento o sali all’interno delle nuvole. Questi agenti fungono da nuclei di condensazione, aiutando l’umidità che è già presente nella nube a formarsi in gocce di pioggia e quindi far piovere. Nonostante sia una tecnica affascinante, gli scienziati non concordano sempre sulla sua efficacia. Alcuni esperti sostengono che il cloud seeding potrebbe essere utile nelle regioni aride, dove la pioggia scarseggia.

Tuttavia, c’è una condizione fondamentale per il suo successo: sono necessarie nuvole con un sufficiente contenuto d’umidità. Infatti, senza l’umidità necessaria, il cloud seeding rischia di essere completamente inutile. Inoltre, è importante notare che questa tecnica funzioni su scala molto limitata. Non è in grado di influenzare eventi meteorologici su vasta scala, come tempeste che si estendono per decine di chilometri, rendendo improbabile che possa essere la causa di inondazioni devastanti in luoghi distanti da dove viene impiegata.

Perché il cloud seeding non può aver provocato l’alluvione di Valencia

Gli esperti, tra cui il climatologo Giulio Betti del CNR, chiariscono che il cloud seeding è un metodo applicabile solo a piccole aree e in situazioni meteorologiche restrittive. Non è in grado di operare su sistemi temporaleschi che si sviluppano su vaste distese di territorio come nel caso dell’alluvione di Valencia. I ricercatori sostengono che la tecnica è generalmente limitata a nuvole che si estendono per proporzioni ben più piccole, intorno a uno o due chilometri.

La caratteristica principale di questa pratica è il suo funzionamento localizzato. Pertanto, è impossibile che il cloud seeding possa esercitare un impatto significativo su eventi meteorologici che hanno luogo centinaia di chilometri di distanza. In sostanza, l’idea che possa esserci un collegamento diretto tra le attività di inseminazione delle nuvole e l’alluvione che ha colpito Valencia trova poco fondamento scientifico e rimane una teoria infondata.

La scienza ci dice chiaramente che si tratta più di speculazioni non supportate da evidenze concrete. La notizia che diffonde il concetto di un legame tra cloud seeding e disastri meteorologici ha quindi un fondamento fragilissimo e suggerisce che è sempre importante verificare le fonti e analizzare le informazioni in modo critico.

Cos’è il cloud seeding e c’entra con Valencia? – Nuovoteatroariberto.it

Le origini del complotto a Valencia

Le radici della teoria complottista riguardante l’alluvione di Valencia hanno preso vita grazie a un articolo pubblicato sul portale ‘Euroweeklynews‘, risalente al 28 agosto. L’autore dell’articolo menzionava un programma di cloud seeding avviato dal Marocco e riportava come questo stesse sollevando preoccupazioni nella vicina Spagna. Tuttavia, c’è stato un piccolo errore fondamentale: il presunto ente che si occupava delle previsioni meteorologiche in Spagna era stato citato con un nome errato.

Infatti, l’agenzia meteorologica incaricata di fornire previsioni e analisi in Spagna si chiama Agencia Estatal de Meteorología, non “El Tiempo”. Quest’ultimo è un portale di previsioni meteo che ha espresso preoccupazioni principalmente per le enclave spagnole in Nordafrica, non per la Spagna continentale. Queste imprecisioni hanno alimentato la fantasia di complottisti e la tesi ha iniziato a girare incessantemente nelle varie chat e social network, venendo ripresa anche da alcuni noti media.

Così la narrazione ha preso piede e oggi viene considerata da parte dell’opinione pubblica italiana come una spiegazione plausibile per quanto accaduto a Valencia. È interessante notare come spesso i fraintendimenti e le fake news possano guadagnare una vita propria, distorcendo il contenuto reale dei fatti. In questo caso, ciò che avrebbe dovuto essere una semplice notizia meteorologica è diventato terreno fertile per la diffusione di disinformazione.

La teoria delle scie chimiche e il post di Miguel Bosé

Tra le più famose teorie complottiste che hanno trovato una nuova vita negli ultimi tempi, si potrebbe citare quella riguardante le scie chimiche. Un post sul social media di Miguel Bosé, famoso cantante spagnolo, ha riportato alla ribalta tale teoria. Nel suo messaggio, il cantante ha invitato le persone a “svegliarsi, per smettere di credere che le anomalie climatiche siano causate dal cambiamento climatico”. Bosé ha asserito invece che varie disfunzioni siano dovute a pratiche di ingegneria climatica e ha messo in discussione la scientificità del riscaldamento globale. Ha affermato che certe conseguenze, come quelle viste in Spagna, sono il risultato di strategie controllate come “scie chimiche” o altri programmi di ricerca.

Queste affermazioni, senza alcun fondamento scientifico, si inseriscono in un discorso più ampio di sfiducia nei confronti delle istituzioni e della scienza. Il tema del cambiamento climatico è già di per sé complesso e controverso e messaggi fuorvianti come quelli di Bosé possono generare confusione e scetticismo.

Nonostante le smentite degli scienziati e vari sforzi di divulgazione scientifica, le teorie complottiste stanno continuando a trovare modo di diffondersi, alimentando la disinformazione. Le affermazioni infondate non solo non sono supportate da dati concreti, ma rischiano anche di danneggiare il lavoro di chi studia e combatte i cambiamenti climatici in modo serio e credibile.

Cristiano Sabatini

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